Pensione o Cara: finchè morte non ci separi

“Partorirai con dolore” è scritto nella Bibbia.

Ha dimenticato, lo sconosciuto autore, di aggiungere anche “lavorerai fino allo sfinimento e quando penserai di poter finalmente riposare e goderti la vita sarai ormai talmente vecchio da non ricordarti neppure più come ti chiami”.

La manovra finanziaria 2022 sta mettendo mano, e continuerà a farlo, anche al sistema pensionistico: eterna spina nel fianco del sistema Italia.

Se nei decenni precedenti abbiamo assistito a brutture estreme come i famosi “baby pensionati” del settore pubblico, da molto tempo stiamo pagando tutti lo scotto dei bagordi passati: complice anche una crisi economica e di stagnazione che perdura da anni senza evoluzioni in meglio o in peggio.

Che in parole povere significa che il Paese non finisce mai sul lastrico, ma neppure fa strepitosi e risolutivi balzi in avanti.

Le pensioni sono inoltre il tema caldo di tutte le parti politiche, specialmente in campagna elettorale: per cui ciò che ciclicamente accade è che il partito che sale al Governo attua la sua riforma, così come l’aveva promessa agli elettori. Poi quel Governo politico cade e subentra un Governo tecnico: il quale rivede i conti, mette nel cassetto il sistema pensionistico ideato dal partito di turno, e ne partorisce uno nuovo, molto più duro e senza sconti.

È ciò che è accaduto a suo tempo con la riforma Fornero (2012) del Governo Monti, ed è quel che sta accadendo ora con la riforma del Governo Draghi (2022): che mira, in buona sostanza, e ripristinare il sistema “lacrime e sangue” (così lo definirono all’epoca i giornali) ideato con la riforma Fornero.

Ce la faremo, a continuare a lavorare fino a 67-70 anni?

 “Opzione donna”, quella che prevede la possibilità di dare l’addio alle sveglie mattutine e alle corse verso l’autobus a 58 anni per le lavoratrici dipendenti e 59 per le autonome, verrà davvero mantenuta? E quanto potrà pesare sulle casse dell’Ente?

Ma soprattutto, e questa è una domanda fondamentale, con tutte queste persone che continuano ad occupare la loro posizione in azienda perché l’INPS ha bisogno di ritardare sempre più il loro ingresso fra i suoi costi, che ce ne facciamo dei giovani, nel frattempo?

Quelli che apporterebbero linfa vitale, nuove idee, entusiasmo e spirito d’iniziativa al sistema lavoro ed economia?

Una cosa è certa, ed è quello che abbiamo detto all’inizio e ripetiamo come finale: oggi paghiamo necessariamente non solo il prezzo della crisi economica, ma anche le tante scelte azzardate compiute in tempi di boom, quando sembrava che la borsa sarebbe stata sempre piena.

E su questo, forse, al di là di tutte le considerazioni bisogna che tutti ce ne facciamo una ragione.

 

Buon lavoro, amici lettori.