Smartworking

La pandemia ha posto sulla bocca di tutti questo termine, “smartworking”, che prima pareva riservato solo a pochi privilegiati: solo i capitani d’azienda ed i pirati informatici, per intenderci.
Di colpo molti si sono scoperti “smart”: che inglese vuol dire “intelligente, furbo, brillante”. Desolatamente quegli stessi molti si sono rivelati tutto meno che intelligenti, furbi e brillanti.
Ciò cui invece abbiamo infatti assistito è stata la pressocchè totale impreparazione di parecchie categorie di lavoratori ad andare oltre il condividere un video su Facebook: maestre delle elementari che facevano le foto di fogli scritti a mano e le spedivano a testa in giù, con seri rischi per la circolazione sanguigna dei bambini; siti non aggiornati che invitavano a concludere la pratica recandosi fisicamente allo sportello (“ma se lo sportello è chiuso!!!”… Ok, telefono, ci sarà un numero di telefono no? Telefoni ed una voce automatica ti dice “A causa della situazione pandemica vi invitiamo ad accedere al nostro sito, www. etc etc). Per tacere del portale INPS, perennemente intasato, inaccessibile, sotto stress.
L’immagine patinata dello smartworker, tipica del telefilm americano (lei: bionda, fresca di parrucchiere, la pelle candida e senza un brufolo, il maglione di cachemire buttato con nonchalance sulla spalla sexy, sorseggia un caffè dalla tazza con i cuoricini / lui: uguale, stesso maglione e stessa tazza, ma con la barba) ha ceduto il posto ad un più prosaico impiegato medio che neanche si toglie il pigiama. I capelli arruffati, circondato da bambini urlanti che giocano a lanciarsi le caccole del naso e bersaglio delle parolacce dei figli adolescenti che devono seguire la lezione e se papà non si sgancia dal PC la connessione non regge, casca ed il professore li dà per assenti e lavativi.

Ad oggi c’è un vago, timido accenno di ritorno di alla normalità: e molti, dopo aver scoperto le meraviglie del lavoro da casa, chiedono che comunque venga mantenuta anche questa possibilità.

L’idea non è malvagia, intendiamoci. A parte gli scherzi, in termini di produttività, contenimento dei costi, persino diminuzione dell’inquinamento atmosferico, risulta un’ottima soluzione che sarebbe finalmente ora il nostro Paese prendesse in considerazione: ed in questo senso ringraziamo la pandemia, che ci ha obbligati a percorrere questa via già percorsa da molti altri ben prima di noi.

Però forse, più che di norme che regolamentino questa particolare tipologia di occupazione sarebbe il caso di porre le basi: e cioè lavorare sulle infrastutture (le reti, le connessioni, per intenderci) e la formazione.
Cosa la facciamo a fare una legge sullo smartworking, se poi abbiamo gente negli uffici che non è capace d’inoltrare una mail o convertire un file Word in PDF?

La beffa sarebbe quindi trovarsi con nessuno allo sportello ed un misterioso nessuno che, dietro un misterioso PC, non si accorge della nostra pratica mentre noi aspettiamo una notifica di ricevuta che non arriva.

Buona settimana e buon lavoro a tutti.